Storia di un aborto farmacologico in Italia: “Pensavo di morire, nessuno mi ha preparata a quell’emorragia. Ero sola e inerme”

Il diritto all’aborto in Italia è legge da quasi mezzo secolo, grazie alla Legge 194. Da qualche anno è possibile per le donne scegliere, entro la nona settimana, di optare per un aborto farmacologico attraverso la pillola RU486. Questo sulla carta. Perché nella realtà questo diritto è spesso messo a dura prova, se non osteggiato. E non raramente le donne si trovano ad affrontare un calvario in un momento in cui, tra le altre cose, la vicinanza e l’accoglienza del sistema sanitario pubblico dovrebbe essere massima. E invece, tra medici obiettori, scarse informazioni e mancanza di strutture, l’esperienza dell’aborto continua ad essere in molti casi traumatica. L’intervista che vi proponiamo è stata realizzata con Ludovica (nome di fantasia), trentacinque anni, una donna – già madre – residente in Toscana.
Come mai ha deciso di ricorrere all’aborto farmacologico?
Ero incinta da pochissime settimane, avevo un ritardo di una settimana e ho fatto il test. Per me è stato un fulmine a ciel sereno. La mia situazione familiare purtroppo non mi avrebbe consentito di portare avanti serenamente la gravidanza. Con grandissima sofferenza ho deciso che non potevo portarla avanti. Sapevo che entro le prime settimane è possibile ricorrere all’aborto farmacologico, senza i disagi di un intervento chirurgico, quindi ho optato per quella opzione.
Che tipo di aspettative aveva?
Credevo che sarebbe stato facile e più indolore di quanto poi si è rivelato in effetti. Fisicamente, ovvio, perché psicologicamente non sarebbe stato facile in nessuno dei due casi.
La domanda è stata presentata dalla sua ginecologa?
No, la prima persona che ho chiamato una volta scoperto di essere incinta è stata proprio lei, ma mi ha detto al telefono di essere un’obiettrice, dunque che non mi avrebbe visitata e che mi sarei dovuta rivolgere al consultorio.
All’atto dell’accettazione ha avuto tutte le informazioni che le servivano?
Una volta avuta la certificazione del medico contenente la richiesta di avvalersi della 194, mi sono rivolta al consultorio della mia città. Dopo una breve ecografia, mi è stato confermato che avrei potuto accedere all’interruzione di gravidanza farmacologica e mi è stato spiegato in cosa consisteva: una prima pillola la mattina stessa, per interrompere lo sviluppo dell’embrione; una seconda pillola, 48 ore dopo, nello stesso consultorio, per espellere l’embrione.
Le è stata prospettata la possibilità di assumere il farmaco in day hospital?
No, questa opzione non mi è stata fornita (anche se in Toscana è possibile, ndr). Cinque minuti dopo aver assunto la seconda pillola si viene dimesse, con la raccomandazione di stare a riposo a casa durante la giornata, prendendo ibuprofene al bisogno. Quando ho chiesto cosa mi sarei dovuta aspettare, mi è stato spiegato che sarebbe stato né più né meno che una mestruazione molto abbondante.

Ci racconta cosa le è successo dopo la somministrazione della seconda pillola?
Tornata a casa, dopo circa cinque ore dall’assunzione della pillola, del tutto all’improvviso, mi sono ritrovata nel pieno di una vera e propria emorragia. Sono stati due episodi, per un totale di circa quaranta minuti, in cui mi sono trovata inerme e spaventata, perdendo una grandissima quantità di sangue, senza essere stata per niente preparata all’evento, dato che mi aspettavo né più né meno che un flusso mestruale, per quanto abbondante. È stata un’esperienza devastante. Meno male che avevo sistemato i bambini dai nonni. Cosa avrebbero pensato nel vedere la madre in quelle condizioni? Forse che stava per morire?
I numeri di emergenza che le hanno fornito funzionavano?
No, il numero fornito dal consultorio per le emergenze aveva la segreteria telefonica. Io e il mio compagno abbiamo quindi chiamato l’ambulanza: il terrore che ci fosse una vera emorragia in atto era troppo forte ed eravamo spaventati e impreparati. Il personale a bordo dell’ambulanza mi ha misurato i parametri di base (battiti, pressione, saturazione), ma tutto era tornato nella norma nel tempo di arrivo dell’ambulanza (circa mezz’ora): l’emorragia si era fermata e il flusso di sangue si era stabilizzato su un flusso mestruale regolare.
Che bilancio dà della sua esperienza?
La possibilità di ricorrere all’aborto farmacologico in luogo di quello chirurgico è certamente un’innovazione che tutela maggiormente la salute e la ripresa fisiologica della donna che decide di ricorrere a questa dolorosissima scelta, di cui lei e solo lei può conoscere le ragioni e sulla quale non si può mai e poi mai sindacare. Ritengo però che le modalità di esecuzione dell’interruzione farmacologica di gravidanza non siano corrette. Penso infatti che sia necessario un ricovero in day hospital, in modo che la donna possa sentirsi tutelata e controllata nei parametri vitali. Ritengo che le informazioni circa l’interruzione volontaria di gravidanza farmacologic a siano carenti e la descrivano come più semplice di quello che in effetti è.
Come vi siete sentiti, lei e il suo compagno?
Di fatto io e il mio compagno ci siamo trovati soli e inermi di fronte a un aborto improvviso e violento, non scevro di preoccupazioni gravi per la mia salute. Se fossimo stati in un ambiente protetto, come quello di un ospedale, in cui l’assunzione del farmaco e il conseguente aborto fossero stati controllati, probabilmente non avremmo avuto questo shock. O perlomeno si dovrebbe fornire una scelta: essere ricoverate in day hospital, con tutti i controlli del caso, oppure rientrare subito a casa dopo l’assunzione, ma con una formazione più adeguata e istruzioni più dettagliate e complete su farmaci da assumere e modalità di espulsione dell’embrione. Immagino che il ricovero venga escluso prevalentemente per questioni legate ai costi, ma io sogno una sanità pubblica in cui un paziente non sia un numero, e una donna, che è già profondamente provata psicologicamente per il dolore di aver dovuto intraprendere quella scelta straziante, non venga lasciata ad abortire, da sola, in casa.
Luce